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Analisi dei Big Data: dalle lezioni della Pandemia alle prospettive per un futuro a “intelligenza aumentata”

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A cura della redazione

Erano gli ultimi mesi del 2019 quando un software sviluppato da una start-up canadese ha rivelato la presenza di una nuova malattia – una grave polmonite bilaterale – proveniente da una sconosciuta città cinese, Wuhan. E a lanciare l’allarme in Occidente, prima delle Autorità cinesi e di quelle internazionali. Ciò è stato possibile perché il programma basato sull’intelligenza artificiale (AI) ha potuto analizzare più di 100.000 articoli e contenuti sui social media in 65 lingue diverse, li ha comparati con i dati sanitari ufficiali provenienti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità relativi a più di 150 malattie conosciute e con quelli non ufficiali come i post o le conversazioni sulle piattaforme digitali. Un’operazione che da solo l’uomo non sarebbe mai riuscito a realizzare, tanto meno in tempi così rapidi.

Facciamo un salto avanti e veniamo alla corsa per lo sviluppo dei vaccini anti COVID: anche in questo caso senza le applicazioni basate sull’AI gli sforzi e i finanziamenti profusi per raggiungere il risultato in mesi anziché anni sarebbero stati vani. L’intelligenza artificiale ha consentito di accelerare il sequenziamento del genoma, realizzare previsioni sulla struttura del virus, e sviluppare quei vaccini basati sull’acido ribonucleico messaggero (mRNA).

Basterebbero questi due esempi per convincere anche il più scettico a riconoscere l’importanza di algoritmii e machine learning nella ricerca e nella medicina d’oggi. E nell’aiuto che possono fornire per interpretare e assegnare valore ai Big Data.

Da semplici dati a informazioni

Il numero dei dati sanitari raccolti durante la crisi pandemica è aumentato in modo esponenziale, vuoi per l’avanzare della tecnologia, vuoi per l’urgenza di risolvere problemi che coinvolgono milioni di persone simultaneamente (si pensi all’accelerazione della Telemedicina, dei Teleconsulti e delle Televisite – da una parte – o alla necessità di tracciare e monitorare i contagi dall’altra). E nell’immediato futuro questo trend è destinato a consolidarsi considerando, ad esempio, che è in fase di finalizzazione in tutte le Regioni Italiane il progetto del Fascicolo Sanitario Elettronico, che si parla addirittura di dorsale nazionale di datacenter per poter immagazzinare tutte queste informazioni.

Come evidenziano gli osservatori più attenti, e come raccontato in diverse occasioni sul ReadHIT, stante questo panorama, il punto cruciale per ogni sistema sanitario nazionale sarà quello rendere i dati raccolti omogenei, interoperabili, e di analizzarli in profondità trasformandoli in informazioni utili per potenziare la prevenzione, personalizzare le cure, rendere sostenibile il sistema di assistenza universale.

 La soluzione più efficiente perché ciò avvenga è rappresentata dalle applicazioni dell’intelligenza artificiale.

Soluzioni basate su AI sono in avanzata fase di implementazione già oggi in sistemi sanitari complessi: in Olanda ad esempio, Philips sta sviluppando un sistema di scambio di informazioni cross-enterprise, l’XDS Network, che consente lo sharing dei dati dei pazienti – in modalità protetta e standardizzata – tra oltre 80 ospedali a livello nazionale e progetti simili sono in fase avanzata in molti Paesi del mondo.

 Decisioni “critiche”

 Nessun’altra area ospedaliera come la Terapia Intensiva è più influenzata dalla presenza della tecnologia: confrontata con altri reparti, in nessun altro la salute dei pazienti è così dipendente dal supporto delle macchine e dal monitoraggio continuo dei parametri vitali. Ciò produce un’infinita quantità di dati che per la loro mole e complessità non sarebbero analizzabili dalla sola intelligenza umana. Così l’utilizzo dell’intelligenza artificiale è diventata di estrema utilità per prognosticare con affidabilità il decorso del ricovero e per supportare l’adozione di decisioni critiche data-driven. Il machine learning può prevedere tempestivamente la necessità di intubazione nei pazienti in condizioni critiche utilizzando i parametri clinici raccolti durante la degenza, incrociati con i risultati di laboratorio. Può essere utilizzato in tempo reale per aiutare i medici a prevedere la necessità di intubazione entro 24 ore dal ricovero in Terapia Intensiva.

I vantaggi dell’AI non si limitano a quelli meramente clinici: è il caso del tempo, che in Terapia Intensiva è un aspetto critico che può fare la differenza tra la vita e la morte di un paziente. Per mantenere un’alta qualità nell’erogazione delle cure nelle unità di critical care è necessario poter contare su un ambiente di lavoro dove lo staff medico non trascorre la maggior parte del proprio tempo davanti al monitor di un PC. Servono potenti strumenti di analisi automatici capaci di processare dati, confrontarli, aggiornarli e analizzarli, e di algoritmi che possano garantire che le decisioni adottate siano basate su poche ma significative informazioni.

Il caso dell’enterprise imaging

 L’intelligenza artificiale viene attualmente utilizzata sia per una gestione efficiente del flusso di lavoro nei reparti che per l’analisi delle immagini. Entrambi gli utilizzi si corroborano a vicenda, poiché l’analisi delle immagini radiologiche attraverso un algoritmo supporta migliori intuizioni cliniche, riduce la varianza clinica e aiuta nella definizione delle priorità di cura. Concentrarsi sui casi con priorità più alta aiuta le pratiche di radiologia ma allo stesso tempo migliora la soddisfazione dei pazienti e riduce i tempi di attesa.

 Nel campo della diagnostica a immagini grazie all’AI si assiste a un progressivo efficientamento delle migliori cure, a una più semplice prioritizzazione degli interventi, all’assegnazione in tempo reale del paziente al medico disponibile più appropriato; e ancora, un enterprise imaging sviluppato su algoritmi si è dimostrato in grado di supportare il flusso di lavoro diagnostico compreso il follow-up e la comunicazione tra reparti ospedalieri e Specialità. Spingendo un po’ oltre lo sguardo, nel medio periodo l’AI applicata alle immagini potrà sostenere la progressiva virtualizzazione dell’assistenza, prossima frontiera dei sistemi sanitari messi sotto stress dall’emergere di crisi sanitarie, virtualizzazione basata sullo scambio continuo di informazioni che implica la possibilità di coinvolgere specialisti che non devono lavorare necessariamente nel reparto dove è ricoverato il paziente, ma che possono trovarsi in qualunque luogo. E siamo solo all’inizio di quella che si presenta come una vera rivoluzione i cui contorni al momento possiamo intuire. La progressiva integrazione dell’intelligenza artificiale nelle pratiche cliniche potrebbe spingersi a un punto tale che non riusciremo più a distinguerla da quella umana, o forse più opportunamente dovremmo ricorrere a una nuova categoria di intelligenza “mista” o come qualcuno già si spinge a dire: un’intelligenza “aumentata”.

 La necessità di un’accelerazione

Nonostante la consapevolezza della rilevanza dell’AI nella sanità sia molto diffusa in Italia, si registra ancora un significativo ritardo sul fronte dell’adozione di soluzioni di AI da parte delle nostre strutture ospedaliere. Secondo i dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano per il 60% dei medici specialisti le soluzioni di intelligenza artificiale possono avere un ruolo fondamentale nelle situazioni di emergenza, per il 59% consentono di rendere i processi delle aziende sanitarie più efficienti; il 52% crede che aiutino a personalizzare le cure, il 51% che le renda più efficaci e il 50% che contribuisca a ridurre la probabilità di errori clinici. Tuttavia, sono ancora pochi i medici specialisti che utilizzano queste tecnologie: solo il 9% le usava prima del Coronavirus e appena il 6% lavora in una struttura che le ha introdotte o potenziate durante l’emergenza.